Indennità di risarcimento per licenziamento illegittimo. Il Jobs Act è incostituzionale. La sentenza

Bosco (Uil Av/Bn): "Questa sentenza ha finalmente aperto una breccia in un sistema disequilibrato"

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Benevento, 14 novembre 2018 – La Uil Avellino/Benevento rende noto che lo scorso 8 novembre è stata depositata una importantissima sentenza della Corte Costituzionale, la n. 194, che ha dichiarato “incostituzionale” il criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore a seguito di un licenziamento illegittimo. Questa sentenza si muove nel campo di applicazione del decreto legislativo n. 23/2015 che, com’è noto, ha introdotto il cosiddetto regime sanzionatorio a tutele crescenti, il quale viene applicato, in caso di licenziamento illegittimo, alle lavoratrici e ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015. La norma censurata, e dichiarata incostituzionale con tale pronunciamento, è l’art. 3, comma 1, nella parte in cui prevede, in caso di ingiustificato licenziamento, un’indennità crescente pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio. Ed è proprio l’ancoraggio dell’indennità alla sola anzianità di servizio a essere stata bocciata dalla Consulta per contrasto al principio di eguaglianza e di ragionevolezza. La spiegazione trova la sua ragion d’essere in questo breve estratto della sentenza “In una vicenda che coinvolge la persona del lavoratore nel momento traumatico della sua espulsione dal lavoro, la tutela risarcitoria non può essere ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio. Non possono che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del giudice chiamato a dirimere la controversia. Tale discrezionalità si esercita, comunque, entro confini tracciati dal legislatore per garantire una calibrata modulazione del risarcimento dovuto, entro una soglia minima e massima”. Da ciò ne deriva che per le cause in corso e quelle che seguiranno, il giudice potrà comminare la misura dell’indennizzo spettante alla lavoratrice o lavoratore illegittimamente licenziato:

  • nel range tra 6 e 36 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il trattamento del TFR (mensilità che, ricordiamo, sono state così aumentate dal Decreto Dignità);
  • in base all’anzianità di servizio, ma anche in funzione di altri criteri quali il numero di dipendenti occupati in azienda, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti.

Pertanto, rispetto al testo aggiornato del decreto legislativo n. 23/2015, occorre considerare tale ulteriore e riformata versione dell’art.3, comma 1, come di seguito riportata:

“Art. 3 Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa

  1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilita’ dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentaseimensilità”.

“Questa sentenza – dichiara Fioravante Bosco (Uil Av/Bn) – ha finalmente aperto una breccia, seppur non risolutiva, in un sistema disequilibrato in cui la libertà di organizzazione dell’impresa predomina rispetto alla tutela del lavoratore ingiustamente licenziato”.

Ufficio stampa Uil Benevento

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