Mefite di Rocca San Felice: le riflessioni di Galasso

Riflessioni del Prof. Elio Galasso, già direttore del Museo del Sannio, dopo l’evento organizzato da Auser Uselte e ll’Associazione la Grande Madre presso la Rocca dei Rettori il 2 e il 3 marzo sulla Mefite di Rocca San Felice (AV)

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Per prima cosa il piacere di aver ritrovato nel giardino della Rocca una scultura di Antonio Mastronunzio che feci donare al Museo e poi collocai lì anni fa: entrando mi è parsa in tema!  te ne allego qui una foto.

Tanti i ricordi e le riflessioni durante e dopo la bella serata che hai organizzato con amici. Mi fa piacere accennartene perché tantissimi anni fa, in Val d’Ansanto con geologi e poi ad Avellino con il Direttore del Museo Irpino, ho fatto ricerche preliminari alla pubblicazione del mio volume Tra i Sanniti in terra beneventana(1983) dedicato prevalentemente all’oggettistica dei Sanniti allora sconosciuta al grande pubblico, mentre il Museo del Sannio si era da poco arricchito di straordinari reperti della necropoli di Caudium affidatimi dal Soprintendente Prof. Mario Napoli mio maestro. Acquisito da musei e specialisti di tutto il mondo, il libro andò esaurito nel giro di due settimane!

Ed ecco quel che penso adesso del luogo di cui si è parlato, della zona, di chi l’ha abitata e abita, di chi ne dispone la sorte.

Colline a ridosso di montagne verso ogni orizzonte, querce olmi e arbusti di Genista anxantica Ten., un tipo di ginestra addirittura unico al mondo nella Val d’Ansanto in area irpina, dove l’occhio e la mente dimenticano finalmente le autostrade fiancheggiate da assurde macchie di abeti piantati qua e là nel sud assolato. E poi animali in convivenza con l’uomo, tradizioni e sapori, memorie di transumanze e vita ‘contadina’ mai banale, identità custodite e ospitalità sacra. Un patrimonio che sfida le responsabilità odierne. Natura e cultura convocate in una sala della Rocca dei Rettori a Benevento troppo piccola per tanti artisti insieme a loro installazioni, sculture, dipinti, ispirati all’arcaica Dea Madre tradotta in Mefite, sorprendentemente attuali. Sotto il pavimento di vetro i resti d’un acquedotto romano, testimoni di connessioni storico-territoriali millenarie. Cosa chiedere di più?

Il primo desiderio che ho colto nel pubblico stimolato da organizzatori, amministratori, intellettuali intervenuti, era cogliere la più prossima occasione per visitare quel luogo appartato, da molti ignorato, misterioso anche per chi lo conosce. Il sito nasconde infatti strutture e utensili, monete ed ex voto raccontati ma poco documentati, molti introvabili e assolutamente da ritrovare.

Ricordo il rammarico di Werner Johannowsky, grande archeologo e Soprintendente regionale, quando gli indicavo possibili interventi scientifici sui vecchi recuperi nel sito della Mefite. Un giorno a Casalbore, dove conduceva scavi nell’area del tempio sannitico dedicato a suo parere anch’esso alla dea Mefite precisò: “Caro Elio, tu sai bene che reperti provenienti da Ansanto giacciono decontestualizzati non soltanto nel museo territoriale di Avellino che t’è familiare, ma anche in collezioni gelosamente private”. Ma, insistevo io, sono manufatti che comunque provocano domande di cultura, invitano a ulteriori ricerche. E fu allora lui a indicarmi un altro luogo di esalazioni sulfuree a portata di mano lungo la Statale 90bis dopo Paduli, pochi chilometri prima di Buonalbergo, del tutto ignoto: “Chi sa immaginare il significato e l’uso che le persone potrebbero averne fatto in passato viene tentato di indagare, per gli altri si tratta solo di acque inutilizzabili emergenti da rocce ricche di zolfo. Lasciamole fuori dalle masse distruttive dei turisti”. Passo ogni tanto di là e non vedo mai nessuno, ne resto malinconico però l’ho assecondato. Questa è la prima volta che ne parlo.

Infine Virgilio, citato nella serata beneventana, maledetto con qualche sorriso di sufficienza per aver chiamato la Valle d’Ansanto porta degli inferi. E io intanto immaginavo il sommo poeta latino presente di persona nei luoghi del Sannio dove transitò con Orazio e Mecenate nel viaggio per Brindisi. Ci ha danneggiati davvero, Virgilio, nell’inchinarsi impaurito alla dea Mefite e nell’aver concluso con esaltazione l’Eneide paragonando Turno ed Enea a due tori in lotta bestiale sul Taburno? Mi divertivo ad osservare le perplessità di chi mi stava intorno. A qualcuno ho fatto notare che certe credenze e la fama odierna e l’eternità di certi nomi sono legittimate dalla storia tout court, il nome del lago d’Averno per esempio in zona flegrea, che significa ‘privo di uccelli’ perché mai sorvolato dai volatili a causa delle esalazioni sulfuree e ritenuto anch’esso porta degli inferi. E l’eternità è immortale per definizione: la menzione di Virgilio (con quelle di Cicerone, Seneca ed altri) assicura al sito di Ansanto una eternità che nessuna persona ‘non eterna’ come loro avrebbe mai potuto fare. Non a caso Oscar Wilde, eterno anche lui, scrisse: “parlate pure male di me, purché ne parliate”.

                     ELIO GALASSO

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