Una parrocchia di “confine”: la vita della chiesa di Santa Croce in Casagiove descritta dal parroco don Tommaso Riccio nella prima metà del Settecento (Prima Parte)

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“Ci sono persone che sanno tutto e purtroppo è tutto quello che sanno”

(Oscar Wilde)

 

 

A don Lorenzo Maggetto, successore di don Tommaso Riccio.

 

 

Introduzione

In risposta alle domande inviate dal vescovo di Caserta, monsignor Giuseppe Schinosi, il quale governò la diocesi casertana dal 1696 al 1734, l’allora parroco della chiesa di Santa Croce “in Casalis Casanovae, Casertanae Diocesis”, don Tommaso Riccio faceva trapelare non pochi particolari sia sullo svolgimento del suo ministero sacerdotale, che sulla vita della comunità parrocchiale. La lunghezza del manoscritto in questione ci ha portati a divedere il presente saggio storico in due parti, anche per non appesantire troppo il discorso. Il termine “confine”, usato nel titolo del presente saggio sta ad indicare il fatto che la chiesa parrocchiale è ubicata al confine geografico che divide l’Arcidiocesi di Capua dalla Diocesi di Caserta. Un “confine” che, ovviamente deve restare puramente geografico, ma mai spirituale, perché le comunità parrocchiali casagiovesi possano percorrere la stessa linea d’onda, per raggiungere lo stesso obbiettivo: Amare Dio e Amare la Chiesa.

I. L’elencazione delle Sante Messe celebrate dal parroco

Nella prima metà del Settecento, don Tommaso Riccio, parroco della chiesa di Santa Croce nel casale di Casanova e parte della Diocesi di Caserta, provvedeva ad elencare tulle le messe che, periodicamente celebrava all’interno del sacro edificio. Il parroco allora mise al primo posto dell’elenco che “nell’Altare di S. Croce tutti li giorni festivi” celebrava la messa “pro populo”. Seguivano poi le messe celebrate “in perpetuo” e differenti di numero per le anime di coloro che, tramite un’offerta in denaro, o per pura eredità, o perché elargita dai parenti, chiedevano i suffragi per le loro anime. Queste celebrazioni “private” poi, venivano officiate non solo presso l’altare maggiore della chiesa, ma anche presso i due altari laterali: “in cappella SS. mi Rosarii” e “in Altari SS. ma Assumpotionis Beatae Mariae Virginis”. In base poi alle richieste e specialmente alle elargizioni di offerte talvolta sostanziose, variava il numero delle celebrazioni: a chi durante l’arco dell’anno venivano celebrate cinque soltanto, a chi addirittura quaranta.

II. Il questionario per la Visita Pastorale

Nell’anno 1722, in vista dell’ennesima Visita Pastorale, indetta dal vescovo di Caserta monsignor Giuseppe Schinosi, quest’ultimo provvide a far pervenire a tutti i sacerdoti della sua diocesi, un’ “Interrogazione” per iscritto, attraverso la quale enunciare quante più notizie possibili sull’andamento della vita parrocchiale. Il parroco don Tommaso Riccio, compilò allora in maniera puntigliosa tale “questionario”, evidenziando tanti particolari, indispensabili per poter capire in che maniera si svolgeva la vita spirituale e materiale della comunità di Santa Croce. Don Tommaso Riccio “del piano della Torre di Caserta” (villaggio Torre, antico nucleo di quella che diventerà Caserta centro, l’agglomerato urbano sorto attorno al Real Palazzo), venne nominato sacerdote per mano di monsignor Giacomo Circi (o Circe), vescovo di Sant’Agata dei Goti, “nell’anno 1688 sotto li 6 di giugno”. Una volta diventato sacerdote, a don Tommaso le “fu conferita proprio questa Chiesa Parrocchiale sotto il titolo di S. Croce del Casale di Casanova”, per mezzo del vescovo di Caserta monsignor Giuseppe Schinosi, attraverso la Bolla Episcopale con la quale ne prese “il possesso legittimo e pacifico il primo di settembre 1708”. Il parroco risiedeva “dentro i confini della propria Parrocchia in una casa della suddetta Parrocchiale, dove vi abita(va)no donna maritata ed il suo marito”. Don Tommaso, tra le altre cose, con un pizzico di orgoglio teneva a specificare che dal giorno del suo possesso “sino a questo presente” aveva “speso di proprio denaro ducati cento” per poter riparare la casa canonica “cadente”, come pure “le suppellettili come appare dall’inventario”. Anche lo spirito caritatevole contraddistinse il prelato che, spesso e volentieri era “solito dare a poveri una cinquina la settimana, e lasciare a questo che povero infermo un carlino, o cinque grana di Carità”. Al termine della sua presentazione, lo zelante don Tommaso procedeva a descrivere la chiesa da lui guidata. Nella chiesa parrocchiale era presente una cappella sotto il titolo del Santissimo Rosario. Quest’ultima cappella era gestita da una Confraternita laicale che portava il titolo omonimo. Inoltre, a dire del parroco, in questa cappella “vi è(ra) una Rettoria” di cui era rettore il reverendissimo don Giovanni (Battista) Barba. A questa stessa cappella poi, era aggregato un beneficio “sotto il titolo di Santa Giuliana”, di cui era possessore il canonico don Andrea Barigiano che, all’epoca risiedeva a Roma. Vi era poi un ulteriore beneficio “de Jure Patronatus” della famiglia Santoro, presso l’Altare dedicato alla Vergine Assunta in Cielo, rappresentato dal signor canonico don Prisco Santoro. Una notizia del tutto inaspettata appare nel momento in cui, don Tommaso affermava che “La suddetta Chiesa non è(ra) consacrata”, né apparivano segni di consacrazione, ed inoltre non era presente neppure “l’altare privilegiato”. Come già detto, all’epoca, all’interno della chiesa parrocchiale di Santa Croce, officiava la Confraternita del SS. Rosario, di cui però non si sapeva se fosse stata “canonicamente eretta”, ne tanto meno vi era notizia “se si ritrovava aggregata ad alcuna Arciconfraternita”. La Confraternita in questione, a dire del parroco Riccio era governata dagli economi Simmio Martone e Angelo Cimmino. Con cura il sacerdote Riccio conservava i libri parrocchiali su cui annotava i nomi dei battezzati, dei coniugati e dei defunti. All’epoca, il libro più antico che si custodiva in parrocchia era quello dei battezzati risalente all’anno 1635 (di cui oggi se ne è persa traccia). Con uguale cura, poi, si conservava il libro riguardante lo “Stato delle Anime”, il quale contava ben 240 individui “a tenore del Rituale Romano”, con distinte note per conoscere il numero dei comunicati pari a 164 individui, comunicati e cresimati 172 individui, 15 confessati e 37 cresimati. Come è noto, prima delle leggi napoleoniche varate sulla sepoltura dei cadaveri nei cimiteri costruiti al di fuori delle mura cittadine, per scopi totalmente igienici, le sepolture avvenivano nelle chiese o nelle immediate vicinanze. Don Tommaso Riccio a tal proposito scriveva che nella sua chiesa “non v’è(ra) sepoltura separata a li fanciulli” e si seppellivano nella cappella del Santissimo Rosario, dove tra l’altro si seppellivano “tutte le vergini”. Quelli che invece morivano senza aver ricevuto il Battesimo “è(ra) stato solito seppellirli fuori delle mura della suddetta Cappella”. Come ogni buon parroco, don Tommaso spiegava al suo popolo “in ogni domenica l’evangelo corrente” e la predica al Vangelo veniva spiegata il più delle volte “in lingua volgare e chiara, che possa esser intesa da tutti”. Il parroco doveva essere un ottimo catechista, perché a suo dire “tutti li giorni di domenica e feste”, nell’ora del vespro teneva il catechismo a cui partecipavano i “figliuoli à grandi, e à huomini e donne”. Don Tommaso, allora, poteva ritenersi più che soddisfatto dato che tutti venivano “volentieri alla suddetta dottrina cristiana”. Tutti i giorni festivi “e vigilie che occorrono nella settimana” erano pubblicate tramite il parroco dall’altare, mentre le feste di devozione e le sante feste della Beata Vergine venivano “significate al popolo col tocco delle campane del dì”. Oltre alle feste di precetto “prescritte dalla Chiesa”, i fedeli di Santa Croce avevano a cuore altre feste di devozione legate ai Santi: Sant’Antonio di Padova, Sant’Antonio Abate, Santa Lucia, la Conversione di San Paolo Apostolo, Santa Matrona, ed altre feste di devozione alla Beata Vergine Maria.

 

Fonti

  • ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI CASERTA, S. Croce (Casagiove) I.07.02.12 – Fascicolo 125.

La facciata dell’antica chiesa di Santa Croce (via Santa Croce), lasciata purtroppo nelle grinfie dell’incuria del tempo e dell’indifferenza umana.

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