Casanova e Coccagna descritte da monsignor Francesco Granata nelle sue opere editoriali: “Storia civile della fedelissima città di Capua” (1752) e “Storia sacra della chiesa metropolitana di Capua” (1766)

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Introduzione

E’ difficile stabilire con “certezza matematica” le origini di un centro abitato, specie se questo è vissuto per la maggior parte del tempo sia amministrativamente che spiritualmente, all’ombra di una grande città, nel caso specifico Capua. Le testimonianze redatte con diligenza dal nobile capuano, nonché vescovo di Sessa Aurunca, monsignor Francesco Granata, anche se probabilmente con qualche piccolo errore, risultano essere davvero indispensabili per coloro che si addentrano nello studio della storia locale. E’ ovvio che il Granata per poter comporre le sue due grandi opere a stampa: la “Storia civile della fedelissima città di Capua” (1752) e la “Storia sacra della chiesa metropolitana di Capua” (1766), abbia dovuto apprendere le dovute notizie da altri grandi storici che lo avevano preceduto, ricordando in particolar modo il nostrano canonico Michele Monaco e l’abate Ferdinando Ughelli. Entrambi i citati storici, operarono e composero le loro grandi opere stampate nel XVII secolo. Di Michele Monaco ricordiamo il celebre “Sanctuarium Capuanum” del 1630, scritto, senza dubbio, grazie alla mole di documenti che il Monaco ebbe a sua disposizione, i quali la maggior parte di essi, andati nel tempo dispersi, invece, di Ferdinando Ughelli ricordiamo l’ “Italia Sacra”, pubblicata in nove tomi tra il 1642 e il 1648 e dove appunto, l’abate descrisse la storia delle numerose diocesi che comprendevano l’intero territorio geografico italico. Va precisato che l’Ughelli per poter comporre un’opera di così grande portata, dovette, per forza, servirsi di “tramiti” che gli raccogliessero le varie notizie storiche sulle diocesi. Un tipo di lavoro di ricerca, quest’ultimo che, sicuramente, fruttò non pochi errori nella stesura dell’opera. Per quanto riguarda la consacrazione della chiesa di San Michele Arcangelo nel Casale di Casanova, il Granata dice, rifacendosi all’Ughelli che attraverso una targhetta metallica si attestava che la chiesa fosse stata consacrata nel XIV secolo, cosa questa assai improbabile, poiché nelle cosiddette “Rationes Decimarum Italiae” nei secoli XIII e XIV, cioè un Registro delle decime che venivano riscosse dagli enti ecclesiastici, la chiesa di San Michele Arcangelo di Casanova, per entrambi i secoli, non viene menzionata affatto. Nelle pergamene medievali capuane, il toponimo ricorrente è sempre “Casanova”, di sicura radice Longobarda. Infine, la questione del toponimo: da Casa – Jove a Casanova, potrà suscitare qualche polemica in merito, sta di fatto che, nel momento in cui i nostri avi decisero di mutare il toponimo “Casanova” in “Casagiove”, negli anni successivi all’ unificazione nazionale avvenuta nel 1861, certamente presero in considerazione quanto scritto  dal vescovo Granata, ma forse travisando quanto scritto e facendosi prendere troppo dalla smania “romanticistica” che in qualche modo il Risorgimento aveva riacceso nell’animo del popolo.

I. La controversa questione del toponimo

Secondo il vescovo di Sessa Aurunca, monsignor Francesco Granata, il quale, nel 1752 dava alle stampe il suo grande lavoro intitolato: “Storia civile della fedelissima città di Capua”, le genti che abitarono lungo le pendici del monte Tifata, e più precisamente “Dalla parte di Oriente” della città di Capua, edificarono “troppo magnifici, e sontuosi […] tre altri Templi”, di cui uno in particolare “di vasta mole, e meravigliosa struttura, dedicato a Giove”. Il tempio pagano, scriveva il Granata, era situato “sul confine sinistro del monte Tifata”, precisamente “nel Casale di Piedimonte, poco sopra dell’altro chiamato Casolla”. Il tempio si trovava “in un erto poggio della collina su di cui siede l’antica Città di Caserta, la quale avea al di sopra, e al di sotto molto vasta estenzion di terreno propria di detto Tempio, tanto che fin’oggi sopra di esso vi è(ra) un Fonte, che  chiamasi la Fontana di Giove, sotto poi, ed alle radici del monte”, c’erano due campi, “uno detto oggi alla Jovara, l’altro al campo di Giove”. Continuava il Granata dicendo che “Poco distante da tal Tempio, vi è(ra) un Pago, che a lui si appartiene, chiamato fino all’XI, e al XII Secolo Casa – Jove, poi corrotto dicesi oggi Casanova”. Casanova era “Casale della Città di Capua, per la giurisdizione temporale, ma per la spirituale, nella maggior parte, si attiene alla Chiesa Capuana, nell’altra minore a quella di Caserta”. All’epoca in cui visse monsignor Francesco Granata, “Di tal Tempio” era possibile ammirare “grandi e magnifiche reliquie, essendosi in piedi ben tre Navate arricchite di moltissime Colonne, e diverse Fabbriche a Mosaico, con vari intagli di meraviglioso rilievo”. Con la caduta degli idoli pagani e il conseguente trionfo del Cristianesimo, sulle rovine del tempio di Giove venne edificato il Monastero di S. Pietro (ad Montes in Piedimonte di Casolla) da parte dei monaci cassinesi (benedettini). Non era infatti raro che, i monaci benedettini costruivano le loro chiese, sulle rovine dei templi pagani, proprio a voler dimostrare la caduta dei falsi idoli e il trionfo del Cristianesimo. Il Monastero in questione, una volta “soppresso, si resse Badia Concistoriale”, la quale nel tempo in cui il Granata scriveva, era posseduta dal cardinale napoletano, Tommaso Ruffo, “Decano del Sacro Collegio”, il quale “nutrendo sempre sensi di ottimo Principe Ecclesiastico, e fomentando di continuo il suo zelo per la Chiesa di Gesù Cristo, di già per profitto dé Contadini” che abitavano quel Monte, manteneva a sue spese gli insegnamenti da parte dei Padri della Dottrina Cristiana, i quali Padri portavano “il peso di insegnarla a tutti qué Terrieri”. “L’Abbadia suddetta”, fruttava al porporato la rendita di “annui ducati circa 1500”. Terminava monsignor Granata, parlando sempre del Tempio di Giove, che “Tra questo Tempio, e la Porta di Giove, dovette esser situato l’antico Villaggio, Jovio chiamato; e la Venere Giovia, della quale si parla(va) in un marmo in Capua, rapportata dal Grutero, non altra esser dovette, che una Venere, con ispezialità di culto adorata da qué Giornalieri, che il Pago Giovio abitavano”.

II. Le chiese di Casanova nella giurisdizione dell’Arcidiocesi Metropolita di Capua

Scriveva monsignor Francesco Granata che “Casanova, che fin al XI, ed al XII Secolo chiamavasi Casa – Jove”, come appunto aveva riferito nella sua precedente opera intitolata “Storia civile della fedelissima città di Capua”, era “per la giurisdizione spirituale nella maggior parte” appartenente alla Chiesa capuana, mentre, “nell’altra minore a quella di Caserta”. La chiesa parrocchiale che appunto era soggetta alla giurisdizione di Capua, “è(ra) sotto il titolo dell’Arcangelo S. Michele”, ed in essa vi erano quattro cappelle “colle rispettive Confraternite”: cioè del Corpus Domini, del Santissimo Rosario, del Purgatorio e quella del Santissimo Crocifisso. Continuava il Granata affermando che “Il Monastero di S. Giovanni di Dame Monache di Capua fondò questa Chiesa Parrocchiale per proprio suo comodo nel suo suolo”, tanto che l’antico possesso della stessa chiesa di Casanova era testimoniata dal fatto che “nella vigilia di S. Giovanni Battista”, uomini e donne “di questo paese” si recavano presso il sacro luogo per “scopare la Chiesa, e le Grate del Monastero”, cosa che ancora al tempo del Granata “più volte ivi praticarsi”. A questo ultimo proposito, infatti, scriveva molto tempo prima un altro grande storico capuano, il sanprischese Michele Monaco, nella sua grande opera a stampa del 1630 intitolata “Sanctuarium Capuanum”: “Ecclesia S. Michaelis de Casanova an habuerit aliquando Rectoriam non costat, quia videretur illa Ecclesia a Monialibus D. Joannis pro ipsarum commodo costructa fuisse , omittitur Taxa Antiqua”. Il motivo ancora del “venire queste donne a scopare, e del venire gli uomini del Casale per obbligo a portare della Mortella in tal Festa per sacra pompa”, riferiva il Granata, si attribuiva “al Diploma, o Privilegio, col quale Roberto II Principe di Capua concesse in vassallaggio al Monastero di S. Giovanni la Gente di Casanova”. Un altro grande storico della Chiesa, Ferdinando Ughelli, riportava nella sua opera intitolata “Italia Sacra” che, “questa Parrocchia di Casanova sotto il titolo di S. Michele Arcangelo fosse stata ad istanza di Galganza Abbadessa del Monastero di S. Giovanni, consacrata nell’anno 1311 da Federico Vescovo di Calvi, e Tommaso Vescovo di Caiazzo”. Quest’ultima testimonianza era provata, sempre a dire dell’Ughelli, da una frase incisa su di una lamina in piombo, la quale recitava in latino: “Anno MCCCXI. EPISCOPUS THOMAS CAJATI, ET EPISCOPUS FEDERICUS CALVENSIS CONSECRARUNT ECCLESIAM S. MICHAELIS ARCANGELI IN HONOREM S. JOANNIS CAPUANI MONASTERII SUB ABBATISSA GALGAN”.  Nel distretto della medesima chiesa parrocchiale risultavano presenti due chiese rurali: “una nella celebre rinomata Villa di Coccagna, sotto il titolo di S. Maria della Vittoria, e l’altra di S. Maria Lauretana, detta di Monte Cupo, in cui vi ha(veva) un Romito, ed è(ra) solito dal predicatore quaresimale di Casanova fare in detto Romitorio l’ultima sua predica, ed ivi darsi dal medesimo la Santa Benedizione al gran Popolo, che vi si suole radunare”. La cura delle anime abitanti nel villaggio di Coccagna “si porta(va) da un Parroco, e da un Cappellano Curato” e in totale “tra quelle di Casanova e di Coccagna” erano “circa mille novecento cinquanta due Anime”. Concludeva monsignor Francesco Granata, parlando di Casanova e Coccagna, dicendo che i quegli ultimi tempi “dal degnissimo Arcivescovo (Muzio) Gaeta”, gli abitanti di Coccagna avevano “avuto il permesso di tenere il Santissimo Sacramento nella loro Chiesa”.

Fonti

  • Mauro Iguanez, Leone Mattei – Cerasoli, Pietro Sella (a cura di), Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV: Campania, Città del Vaticano 1942.
  • Michele Monaco, Sanctuarium Capuanum, Napoli 1630.
  • Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, ristampa anastatica a cura di Arnaldo Forni Editore 1972 – 1989.
  • Francesco Granata, Storia civile della fedelissima città di Capua, Napoli 1752.
  • Francesco Granata, Storia sacra della chiesa metropolitana di Capua, Napoli 1766.

(Litografia del XVIII secolo raffigurante monsignor Francesco Granata, nobile capuano e vescovo di Sessa Aurunca dal 1757 al 1771).

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