Le fragilità del welfare della Regione Campania

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E’ ormai opinione diffusa tra gli esperti del settore, ed anche tra le associazioni di categoria, che la legge nazionale  quadro sulle politiche sociali  l. 328/2000 vada ridiscussa e modificata, in quanto da anni mostra evidenti limiti; i più severi ne hanno annunciato il “fallimento”, altri, più moderati , invocano da tempo una “riforma”.

Non volendo in questo momento, affrontare un dibattito giuridico-normativo, che meriterebbe un lungo excursus sulle normative in materia degli ultimi cinquant’anni,  ci soffermiamo sulla situazione attuale.

Il grido di aiuto di famiglie, di associazioni di categoria, ma anche dei coordinatori di ambito sociale, non può e non deve restare inascoltato, eppure ad oggi, nessun dibattito vero e concreto  si è mai aperto sulla discussione di una riforma sostanziale del welfare nazionale e regionale,  se non un timido tentativo iniziale dell’assessore regionale alle politiche sociali Lucia Fortini, in favore della creazione delle cosiddette “aziende speciali”.

In Regione Campania, tranne qualche singola realtà come Atripalda  (ed altre nel salernitano ed un timido accenno del Comune di Santa Maria Capua Vetere) come ci racconta nel suoi libro il dott. Carmine De Blasio intitolato  “La governance degli ambiti sociali in Campania”, non si è mai avviato un dibattito vero sul processo di rimodulazione degli ambiti sociali, nonostante ormai il loro “default” sia sistematico e sempre più diffuso;

tutti o comunque molti (operatori del settore), ricorderanno che il sindaco Carlo Marino durante la campagna elettorale del 2016 per le comunali, prese a cuore il problema delle politiche sociali a Caserta,( per cui si sono già scritte pagine di sentenze giudiziarie relative la scorsa legislatura), e prometteva in un convegno pubblico tenutosi al  “Royal Hotel Caserta”  pochi giorni prima del voto alla presenza  dell’assessore regionale alle politiche sociali Lucia Fortini  un “forte e vero cambiamento del welfare della città di Caserta”, in molti ricorderanno che per anni si è parlato (non senza accese polemiche) della possibilità della costituzione dell’azienda speciale; da quel giorno, sono cambiati due assessori comunali alle politiche sociali, alcuni dirigenti del settore, tanto si è detto ma NULLA si è fatto. Il disastro che c’era prima, c’è oggi.

Non godono certo di miglior salute gli altri ambiti sociali, come ad esempio il C04 che racchiude ben trentuno comuni del casertano, e che vede il comune capofila di Piedimonte Matese, dopo aver dichiarato il dissesto finanziario, entrare  in un “circolo vizioso” che non consente il normale svolgimento dell’ufficio di piano e delle attività che da esse ne derivano.

Non basterà citare ad esempio il mancato versamento a quarantanove famiglie dei relativi assegni di cura del 2018, per rendervi l’idea della reale situazione.

Non ne può più il comune di Lusciano, il cui coordinatore d’ambito il dott. Ernesto Di Mattia da più di un anno, mediante autorevoli quotidiani come il Mattino, denuncia la situazione di default dell’ambito C08, dovuta in primis al mancato versamento delle quote nel FUA (fondo unico d’ambito) di molti comuni associati, tanto da dover costringere il sindaco di Lusciano Nicola Esposito  a dover intervenire legalmente.

Come se non bastasse, per rendere l’idea più vicina alla realtà, si può guardare al disastro delle politiche sociali del Comune di Napoli, di cui basta andare su “google” per averne prova, non serve alcun tipo di commento o relazione.

E’ fin troppo evidente che il sistema normativo del nostro welfare è ormai inadatto alle realtà territoriali e che la maggior parte dei nostri ambiti sociali sono in default; spesso, troppo spesso i comuni non versano le quote al fondo unico d’ambito (FUA), peggio ancora altre volte i  “comuni capofila” che dichiarano il dissesto finanziario, si trovano  consapevolmente o meno, ad utilizzare fondi della 328/2000 o quote del FUA per altro, commettendo sistematicamente una “distrazioni di fondi” che porta al totale blocco dei pagamenti dei servizi, e al disastro a cui ormai da anni siamo talmente abituati che è diventata normalità.

Le cooperative sociali, sempre più in difficoltà, non riescono ad anticipare i costi e gli stipendi, e sovente tagliano gli stipendi e la tariffa oraria degli operatori (tranne poche che riescono a sopperire ),  creando una situazione di totale precarietà sia per i lavoratori che per gli utenti che dovrebbero godere dei servizi, e che invece si ritrovano con operatori sempre diversi e molte spesso non preparati, in quanto  “i preparati” giustamente si rifiutano di lavorare  “quasi a gratis” e preferiscono cercare altre strade, spesso fuori Regione.

Cosi come la sanità pubblica, avere un welfare sano, forte e robusto è una priorità nonché un presupposto indispensabile per una società più equa.

Aprire un dibattito serio e concreto, per la riforma di una legge quadro, e rivedere il funzionamento degli ambiti sociali, magari iniziando a prevedere che la cassa del FUA (fondo unico d’ambito) sia distinta e separata dalla casa comunale del comune capofila,  che gli ambiti siano più ristretti, prevedendo un organo regionale di controllo superiore, che possa agire velocemente nei confronti dei comuni inadempienti al versamento della quota d’ambito, potrebbe essere un buon inizio, certo è che alla lunga se non si correggerà , l’attuale sistema normativo delle politiche sociali, conteremo tantissimi  “morti e feriti”.

Luca Romano  Direzione regionale PD

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