La vita di una comunità con il suo parroco: la parrocchia di Santa Maria della Vittoria in Coccagna e il sacerdote don Francesco Mingione

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Nel ricordo sempre vivo ed affettuoso di “don Ciccio”, parroco di Coccagna

 

Premessa

Reverendissimo don Francesco Mingione,

non ho avuta l’opportunità di conoscerti personalmente, ma, soltanto attraverso i numerosi racconti tramandati dai tuoi figli spirituali di Coccagna. La tua personalità, il tuo essere stato sacerdote “vero e sincero”, ancora oggi sono ricordati con sommo piacere. Lungo le strade del “villaggio” di Coccagna si parla con nostalgia di te, evidenziando la tua immensa bontà, la tua gran carità. Quello che ho potuto narrare attualmente alla gente di Casagiove, immagino che sia tu caro don Ciccio, a narrarmelo di persona, seduti uno di fronte all’altro nella piccolissima sacrestia della chiesa parrocchiale della Madonna della Vittoria, e perché no gustando anche un caffè caldo. Un ricordo abbastanza nitido di numerosi casagiovesi, riguarda quando, di buon mattino scendevi dalla tua abitazione sita in via Jovara, e ti recavi presso la tua chiesa parrocchiale, ben coperto dalla talare scura con cappotto a mantello (tipico da curato) e cappello rotondo sul capo, per recitare le lodi mattutine e per celebrare la santa messa. Chissà come avresti reagito a questo periodo “buio” che attualmente l’umanità intera sta vivendo, di sicuro però saresti stato “missionario” soccorrendo e consolando tutti coloro che avrebbero chiesto aiuto spirituale e materiale. Ora, don Ciccio, ti cedo la parola attraverso le testimonianze da te narrate e che sicuramente hanno segnato fortemente il tuo ministero sacerdotale. Dal Cielo, dove sicuramente ti trovi al fianco della tua amata Vergine Maria Santissima, prega per tutta Casagiove, la tua città che non ti ha mai dimenticato.

Cordialmente,

Antonio Casertano

 

GLI AVVENIMENTI PIU’ RILEVANTI

 

I. Don Francesco Mingione guida spirituale degli abitanti di Coccagna

Don Francesco Mingione, meglio ricordato dalla memoria collettiva casagiovese come “don Ciccio”, nacque il 23 marzo 1875 da Emanuele e da Elisabetta Mingione. All’età di 12 anni “vestì l’abito clericale”, abito che venne benedetto dal sacerdote don Michele Fiano di Casagiove. Il percorso di studio di don Mingione ebbe inizio presso la I classe ginnasiale del Seminario vescovile di Caserta, la cui diocesi in quell’epoca era governata dal vescovo monsignor Enrico dé Rossi, mentre il Seminario era guidato dal canonico don Gaetano Canfora. Il Seminario casertano si trovava “all’estremità di via S. Carlo”, quindi, don Francesco Mingione, ogni mattina dopo aver servita la santa messa “alla chiesa di S. Michele e al Conservatorio delle monache di Casagiove”, si portava a Caserta “per la scuola dalle ore 8 alle 14” portando con se un po’ di pane, “non avendo la famiglia mezzi per comprare un po’ di vettovaglie”. Il giovane don Ciccio Mingione, quando il giorno rincasava, ogni sera poi assisteva alla benedizione in chiesa, poi studiava e prima di andare a letto, recitava il Santo Rosario. All’epoca in cui, don Francesco Mingione si era avviato alla vita sacerdotale in Seminario, Casagiove era una fucina di sacerdoti: presso la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo vi era don Tommaso Buonpane, a quella di Santa Croce don Elpidio Cepparulo alunno e discepolo del sacerdote di Casapulla il servo di Dio don Donato Giannotti, alla parrocchia di Coccagna vi era invece don Carmine Scialdone, a Montecupo il cappellano curato don Giuseppe Scialla e l’economo curato don Enrico Menditto. Alcuni sacerdoti poi, insegnavano ai più piccoli: don Vincenzo Menditto “maestro elementare”, don Michele Centore “maestro II elementare”, don Pasquale Fiano “supplente maestro di Scuole e Padre Spirituale alla Congrega del Purgatorio”, don Lorenzo Menditto “cappellano alle monache”, don Luigi Ianniello “missionario dei Sacri Cuori a Secondigliano”, don Antonio Santoro, don Domenico Curillo “canonico curato a Capua”, il canonico don Domenico De Lillo, don Pasquale Fiano “economo a Coccagna”, don Michele Fiano “economo alla parrocchia di Santa Croce della Diocesi di Caserta” che però, nel 1907 “si aggregò alla Diocesi di Capua”. Don Francesco Mingione, a partire dalla I Ginnasiale, venne poi chiamato al Seminario arcivescovile di Capua, e la retta al Seminario, che era di annue Lire 360, veniva sostenuta in parte dall’arcivescovo metropolita cardinale Alfonso Capecelatro, mentre, l’altra parte era sostenuta dal vescovo monsignor Antonino Centore in qualità di vicario generale dell’arcidiocesi capuana. Per quanto riguardava invece l’acquisto dei libri e degli abiti, ci pensava lo zio di don Ciccio, don Andrea Mingione parroco in Carditello (San Tammaro).  Don Francesco Mingione, il 28 febbraio 1909, venne nominato Economo Curato dall’arcivescovo di Capua, cardinale Alfonso Capecelatro. Il 26 maggio del medesimo anno poi, si tenne, come da prassi il concorso per la nomina di alcuni benefici parrocchiali rimasti vacanti. Da quel concorso risultò infatti che: la parrocchia di San Tommaso Apostolo di Capua fu assegnata a don Michele Amodio, quella di San Giuseppa extramoenia a Capua a don Michele Vozza, quella di San Vito Martire della frazione di Ercole (Caserta) a don Domenico De Lillo. Soltanto il 19 settembre 1909, don Francesco Mingione prese possesso della parrocchia di Coccagna “dopo di aver subito i concorsi con approvazione”.

II. La missione popolare del 1911

Il 5 marzo 1911, nella comunità parrocchiale Coccagna, incominciò la missione popolare messa in atto dai Padri Passionisti per ben quindici giorni. Furono 4 i padri passionisti giunti a Coccagna: padre Ludovico da Valfortezza “che faceva da superiore e istruttore”, padre Pietro da Paliano “che faceva la predica grande”, padre Marcellino da Airola “catechista” e fra Raffaele “laico” dei Ponti Rossi di Napoli. I religiosi vennero accolti presso la casa paterna di Castiello, “il quale offrì  solo abitazione, biancheria, olio e vino”. Il 19 marzo 1911, ultimo giorno della missione popolare, fu eretta una croce di ferro presso il casino Perrotta e sotto di essa, come segno penitenziale, vennero sotterrate “armi, carte da giuoco, tamburi, nacchere”. L’ultima “predica del Paradiso” venne recitata presso il palazzo Castiello “perché la chiesa non era sufficiente a contenere circa 3000mila persone” e nella stessa occasione venne portata “la loro immagine” (la Vergine protettrice dei Passionisti) in processione solo per il rione di Coccagna. Uno dei religiosi passionisti, padre Pietro da Paliano “si disciplinò 3 volte a sangue” come segno di penitenza: nella predica “del peccato mortale”, nella predica “dell’inferno” e nella predica “dello scandalo”. Al termine della predica detta “dell’inferno”, l’immagine della Madonna protettrice dei passionisti venne portata su un palco “che fu eretto presso la nicchia di S. Anna” all’interno della chiesa parrocchiale della Vittoria. Nella quarta ultima predica, venne recitata “la predica della pace” e nell’occasione il predicatore invitò il parroco Mingione a salire sopra il palco, dove lo fece inginocchiare e poi “lo fece baciare con gli altri padri”. Dopo la predica, il parroco ordinò ad alcuni fanciulli  “con campanelli, candele accese e a suono di campane”, di girare il rione gridando: “evviva la Santa Pace”, mentre tutti i balconi e le finestre “erano illuminati”. Nell’ottavo giorno della missione popolare si tenne una processione penitenziale di uomini, i quali, durante il cammino, cantavano “Perdono mio Dio”. Nel corso della missione popolare si confessarono molti che da tempo avevano trascurato, furono “legittimati matrimoni” e solamente un tal Raffaele Corsale  di Ernesto, direttore della Filanda Serica, il quale era “unito solo civilmente” con Peppinella, “non volle ne sposare ne confessarsi”. Non contenti i missionari passionisti per l’atteggiamento assunto dal Corsale, “si cooperarono a fargli ottenere per il bene della moglie, dal S. Padre, la dispensa in radice”.

III. L’epidemia colerica del 1911, la morte dei genitori, la febbre spagnola del 1918

Don Francesco, nel corso del suo ministero sacerdotale presso la parrocchia di Coccagna, si trovò a fronteggiare l’epidemia di colera che sconvolse Napoli e l’intero circondario nel 1911. L’epidemia ebbe il suo principio a Casagiove il 24 giugno 1911 propagandosi pian piano “per tutto il paese”. In base poi alla testimonianza scritta dal sacerdote stesso, la pandemia colerica “durò fino al 19 luglio giorno di S. Vincenzo che Dio per intercessione di questo santo la fece fermare” e solo a Coccagna morirono “100 persone”, tra le quali anche la amata madre di don Ciccio, che spirò la sua anima al Cielo “con tutti i sacramenti”. La morte della mamma di don Francesco Mingione avvenne “forse per contagio” ricevuto dallo stesso figlio, perché egli assisteva “vari colerosi”. La mamma di don Ciccio, la signora Elisabetta Mingione, morì il 29 giugno 1911 alle ore 11.30 del mattino all’età “di anni 60”. Il 4 ottobre 1920, alle ore 5.00 del mattino, invece, cessò di vivere il “carissimo padre” di don Ciccio, Emanuele Mingione, il quale spirò la sua anima “dopo 3 giorni di irritazione alla gola con debolezza di cuore”. Il papà, scriveva don Ciccio, era stato “esempio di lavoratore instancabile fino all’ultimo” e lui stesso, confortato dal figlio sacerdote, volle in realtà l’amministrazione dei sacramenti dal parroco della chiesa di Santa Croce don Mattia Zampella e dal parente parroco della chiesa di San Francesco di Paola don Michele Mingione, andandosene “all’eternità compianto da quasi tutto il paese” all’età di 76 anni. Sette anni dopo l’epidemia di colera, una nuova pandemia faceva il suo ingresso in Europa: la febbre spagnola, la quale, a dire di don Mingione “tale moria fu superiore all’epidemia colerica del 1911”. Il terribile morbo scoppiò in Casagiove il 20 settembre 1918 e “morirono molte persone”, padri e madri “nello stesso giorno” e solamente nel rione di Coccagna “in 20 giorni ne morirono una settantina”, mentre a Casagiove ne morirono “quasi 200”.

IV. La devozione dei “figliani” di Coccagna verso il “Calvario”, gruppo scultoreo dimenticato

Il 28 marzo 1912 nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Vittoria, si celebrarono per la prima volta “le 3 ore di agonia” di Nostro Signore Gesù Cristo e venne pure “inaugurato” il gruppo scultoreo raffigurante il “monte Calvario”. Le statue che facevano parte di questo gruppo artistico erano quelle della Madonna Addolorata (già esistente e più antica),  santa Maria Maddalena, san Giovanni apostolo ed evangelista, i due ladroni e Gesù crocifisso. Pur non conoscendo il nome dell’artista che plasmò le statue in questione, don Ciccio scriveva che queste vennero prodotte “tutto a spese del popolo specie di Vincenzo Ferrante che pagò Lire 50”. Da allora in poi, aggiungeva lo stesso don Ciccio “si sono continuate a celebrare le 3 ore di Agonia assieme alle 3 ore della Desolata che si celebrano nel Venerdì di Passione”.

V. La benedizione della grande campana da parte del vescovo di Caserta

Il 16 ottobre 1922, il frate domenicano, da poco eletto vescovo di Caserta, monsignor Natale Gabriele Moriondo, si recò presso la comunità parrocchiale della Vittoria per “consacrare una nuova campana della parrocchia di Coccagna”, la quale era stata donata dai signori Giuseppe e Concetta Messina, “del peso del solo bronzo 3 quintali e 20: a Lire 10 il chilo: e un quintale  e 30 gli accessori in tutto che costò Lire 4000”. Il sacro bronzo, proveniente dalla fonderia “Marinelli” di Agnone (Isernia), venne trasportato dalla ferrovia di Caserta a Casagiove, a titolo gratuito da un tal Raffaele Roviello di Francesco e con l’elargizione di Lire 20 “ai facchini”. Alla consacrazione della campana presero parte il canonico curato don Lorenzo Centore, il parroco don Franzoni di San Leucio, don Oreste Padula di San Leucio, il parroco di Santa Croce don Mattia Zampella, don Domenico Mingione, don Michele Mingione e don Salvatore Mingione. Il giorno seguente, 17 ottobre, alle ore 15.00 giunse a Coccagna “la musica di Casapulla” (Banda musicale) per suonare, e dopo il discorso pronunciato da un padre passionista, padre Vittore, fuori la chiesa, il quale però “non accontentò il pubblico”, si procedette allo scoprimento della lapide dettata da monsignor Domenico De Angelis presso il campanile, il tutto “a suono di musica e sparo”. Alla sera, il parroco Mingione assieme al predicatore, al signor Vincenzo Poluna e a don Pasquale Petriccione, furono invitati a casa della signora Messina mentre “un globo di 400 candele illuminava la lapide” appena inaugurata.

VI. L’inaugurazione della cancellata lungo il sagrato della chiesa parrocchiale

Nel 1925, il parroco don Ciccio insieme col popolo di Coccagna, fece costruire “superando difficoltà non lievi”, la ringhiera per delimitare il sagrato della chiesa parrocchiale dalle strade pubbliche. La ringhiera in questione, a dire di don Ciccio, venne posizionata “a maggiore ornamento e tutela della Casa di Dio, casa di preghiera, rifugio nei dolori, porto sicuro e tranquillo nelle tempeste della vita”. Nel sagrato poi venne creato un vero e proprio giardino caratterizzato da “aiuole di fiori fragranti”.

VII. Il chiodo “evacuato” per intercessione di San Vincenzo dé Paoli

Racconta don Ciccio, tramite i suoi appunti, che il 24 luglio 1926, “si verificò un gran miracolo operato da S. Vincenzo dé Paoli”, nella persona del bambino di nome Salvatore Castiello di Crescenzio, il quale quattro giorni prima “si aveva inghiottito un chiodo curvo con punta”. Il piccolo Salvatore venne allora portato d’urgenza a Napoli, dove però “vari medici non l’assicurarono”. Si decise quindi, in caso estremo, di portare a casa del piccolo Castiello la reliquia del Santo francese, “dal sabato alla domenica”, giorno della di Lui festa, e giorno in cui prodigiosamente “il ragazzo evacuò il chiodo senza riportare alcun danno”.

VIII. Cronaca nera a Coccagna

Come ogni comunità, anche quella di Coccagna era protagonista di eventi “bui e sinistri” che compromettevano l’ordine e la tranquillità del rione. Don Ciccio racconta, tramite i suoi appunti che il 22 luglio 1927, un marito diede alla moglie “3 colpi di coltello coll’intenzione di ucciderla”, provvidenzialmente però la donna “non morì”. Il giorno seguente, 23 luglio 1927, “alle ore 2 di notte” un tal Domenico Gammella “fu scannato nel letto”, e soltanto alle ore 4, don Ciccio insieme al medico si recarono presso la casa della vittima, dove ricevette “solo l’estrema unzione” e dopo tre giorni di agonia “se ne morì”. Per l’omicidio furono “incarcerati” il fratello Luigi Gammella e la moglie, la “profana” moglie del povero Gabriele, Giovanni Prospero e Tommaso Sersale. La signora Caterina D’Orta, moglie di Nicola D’Errico, morì “disgraziatamente” il 30 giugno 1930, a causa di un colpo di un revolver “che cadendo a terra la colpì al ventre”. D’urgenza, la signora D’Orta venne accompagnata all’Ospedale della SS. Trinità dei Pellegrini di Napoli dove purtroppo avvenne il suo decesso e il cui cadavere venne trasferito a Casagiove. Il 16 marzo 1946, il piccolo Pietro Mingione dell’età di 6 anni, “mentre si recava con la nonna a Caserta”, venne investito brutalmente da un camion militare americano. Un episodio per tradimento ebbe luogo il 17 maggio 1958, coinvolgendo persone di Coccagna ma la disgrazia si consumò a Caserta. Emanuela Andimo moglie di Gaetano Di Blasio, fu scoperta nella “casa del peccato” in via San Carlo a Caserta dal figlio che, per rabbia, la uccise. La donna venne scovata assieme al “drudo” Antonio Moretti, il quale anche egli venne ferito mortalmente dal figlio dell’amante. Il 19 ottobre 1954, il sacerdote don Pasquale Vitale, cappellano curato della chiesa di Montecupo nonché padre spirituale della Congrega del SS. Rosario e Anime del Purgatorio di Casagiove, cessò di vivere all’età di 80 anni a seguito del ferimento sotto un’automobile nella via Appia. Il 3 aprile 1958, presso le cave di pietra a Montecupo, morì schiacciato da una lastra di pietra Diego Melissari. Dopo ben tre giorni dal tragico accaduto, per bontà del commissario cavalier d. Gennaro Iannotta, a sue spese “fu tolto il cadavere e portato nella Cappella della Congrega Immacolata Concezione al Cimitero”.

XI. La seconda guerra mondiale

Il 10 giugno 1940, l’Italia guidata dal re Vittorio Emanuele III e dal duce Benito Mussolini, dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra. Don Ciccio non mancò di appuntare quel buio periodo che per la seconda volta nel Novecento, “disonorò l’Europa” e il mondo intero. Affermava infatti don Ciccio che nel mese di dicembre 1940, ma anche prima, “vi furono di giorno e di notte vari allarmi”. Tra i raid aerei attuati dagli inglesi, don Ciccio ricordava particolarmente quello avvenuto a Napoli il 10 gennaio 1941, che provocò “morti e feriti”. Appena due giorni prima da quel terribile bombardamento, l’8 gennaio 1941, i locali della Filanda Serica dei fratelli Messina “fu accasermata” da circa 600 soldati e il giorno 12 gennaio, tutti i soldati di guarnigione nella Filanda, andarono ad ascoltare la messa. Per andare incontro alle esigenze dei militi si celebrarono tre messe: la prima alle ore 6.00, la seconda “fu la messa della Congrega che si celebrò pure in parrocchia”, e poi alle ore 10.00  “fu celebrata quella per i soldati”. Poi vi furono altre incursioni “nei mesi di aprile, settembre, ottobre, novembre” 1941 e, in particolare in quest’ultimo mese, diceva don Ciccio che gli inglesi “gettarono varie bombe nel torrione della cascata” della reggia di Caserta e, appena 2 ne scoppiarono, “al quale rimbombarono tutte le case anche di Casagiove”. Ritornando alla Filanda serica Messina, don Ciccio aggiungeva che al suo interno “furono accasermati la brigata Trieste dei Bersaglieri per vari mesi fino ad ottobre 1941”, successivamente “vennero circa 600 dei soldati della Sanità fino a tutto dicembre”.

X. Le vittime nella Seconda Guerra Mondiale

Don Francesco Mingione, riportava nei suoi appunti anche i nominativi di coloro che morirono a causa delle brutalità belliche attuate dalla rappresaglia tedesca nel 1943. Degli abitanti dell’abitato di Coccagna, diversi trovarono la morte sotto le grinfie dei militari tedeschi: Il 14 settembre 1943, Domenico Sorbo di 24 anni, figlio di Elpidio, “morì mitragliato dai tedeschi”. Francesco Guarino di 49 anni, il 27 agosto 1943, caricato su di una camionetta tedesca, venne trasferito a Capua, dove trovò la morte “mitragliato” presso la chiesa di San Giuseppe extramoenia. Francesco Gentile aveva 61 anni quando, il 26 settembre 1943, morì ucciso dai tedeschi, mentre si trovava nel giardino di proprietà di Don Francesco Iannotta. Il 27 agosto 1943, a seguito dei terrificanti bombardamenti attuati dai militari anglo americani nel distretto di Caserta, Francesco Santoro di 22 anni, morì a Caserta e “il cui cadavere non si potette trovare” in mezzo alle macerie.

XI. L’apertura del Sanatorio a Coccagna

Agli inizi del mese di dicembre del 1949, nella “via S. Prisco” venne aperto un Sanatorio, li dove era in precedenza ubicata la Filanda serica. A tal proposito, don Ciccio lamentava il fatto che l’apertura del nosocomio ebbe luogo “senza alcuna benedizione e inaugurazione” e che fino alla fine di quel dicembre 1949, al suo interno morirono soltanto due persone “senza sacramenti” e “solamente con la benedizione del sacerdote alla sepoltura”. La cura spirituale del sanatorio in questione, era affidata al parroco di San Michele Arcangelo, don Salvatore Mingione. Questo parroco, già noto in precedenti ricerche, nel corso del suo ministero sacerdotale non sempre assunse comportamenti consoni al ruolo che ricopriva. Egli infatti, affermava don Ciccio Mingione, “durante la gestione di 25 anni lottò sempre contro la parrocchia di Coccagna, ne fece perdere tanti usi antichi, come la processione del Corpus Domini che l’impedì che fosse arrivata al trivio di Casagiove e poi tante altre scrivendo sempre alla Curia”. Il parroco di San Michele Arcangelo, don Salvatore Mingione, ad ogni modo spirò la sua anima al Signore nel luglio 1953, all’età di 56 anni, certamente ricordato poco favorevolmente dagli abitanti di Casagiove e Coccagna.

Fonti

  • Archivio storico arcivescovile di Capua, fascicolo parrocchia “Santa Maria della Vittoria” in Coccagna – Casagiove (la busta non ha alcun numero inventariale).

 

(Don Francesco Mingione ritratto in una foto d’epoca conservata presso la chiesa dell’Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione in Coccagna).

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