L’ “allegra” politica dell’Amministrazione comunale di Casagiove alla fine dell’Ottocento

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Premessa

Gli uomini di ieri, come quelli di oggi, avevano pregi e difetti e non erano affatto degli “alieni”. Il modo di amministrare e di fare politica in un Comune come quello di Casagiove, negli ultimi sta portando ad alzare talvolta aspramente i toni tra le maggioranze e le minoranze che si sono succedute, senza tuttavia risolvere i problemi reali a vantaggio della collettività. Oggi assistiamo con rancore, specialmente a livello nazionale, a lotte politiche tese esclusivamente al bene personale e delle cosiddette “poltrone”, rimpasti politici e la perdita ormai della “vera” destra e della “vera” sinistra. La politica, allo stato attuale non può essere considerata una “vocazione”, bensì un vero e proprio mestiere, un lavoro fatto purtroppo di egoismi e dalla smania di potere. La situazione politica che, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento coinvolse il Comune di Casagiove, portò per ben tre volte a distanza di un breve lasso temporale (1897, 1900 e 1905) al commissariamento dell’Ente comunale, a causa dell’inettitudine di alcuni personaggi, ignoranti e lontani da quei canoni di “bene comune”. Le tristi condizioni in cui riversava l’Amministrazione comunale casagiovese verso la fine dell’Ottocento, portò l’allora prefetto di Caserta a redigere una relazione (priva di datazione alcuna) in cui si ponevano alla luce del sole tutte quelle problematiche che ormai avevano condotto allo sfacelo totale la “macchina” comunale. Pur tuttavia, quella Amministrazione comunale guidata dal sindaco Antonio Pepe (sindaco di Casagiove dal 1898 al 1900, quest’ultimo anno della morte), produttore di pasta, riuscì a quanto pare, ad aggrapparsi al “potere” grazie soprattutto all’amicizia che legava il sindaco Pepe al deputato del Regno di Italia onorevole Salvatore Morelli (scrittore, patriota e politico italiano).

 

I. Il Consiglio Comunale

L’Amministrazione comunale casagiovese era composta, in quel periodo, “di soli 14 Consiglieri su 20”, a seguito del fatto che la minoranza “si dimise perché non volle intervenire alle sedute di un Consiglio”, in quanto la maggioranza risultava composta quasi “interamente di operai che avevano avuto per bandiera di lotta elettorale la guerra alle giamberghe”. Risultava quindi che quel Consiglio Comunale era composto “di quasi tutti parenti o compari” delle benestanti famiglie Pepe e Castiello, e in particolar modo si rendeva noto come nelle Provincie meridionali “il compare val(esse) più del parente”.

II. Le informazioni sul conto del Sindaco e su alcuni consignlieri

Non proprio lodevoli apparivano le considerazioni nei riguardi del primo cittadino casagiovese, etichettato come vero e proprio “analfabeta” e che sapeva “soltanto firmare”. A partire da queste caratteristiche allora, il sindaco era “incosciente di tutti gli atti e di tutta la corrispondenza” che doveva appunto firmare quotidianamente “nell’interesse del Comune”. Il sindaco poi possedeva un pastificio che forniva “grande quantità di pasta alla città” che, a quanto pare, era sottratta “alla rigorosa vigilanza dell’assessore annonario e dell’Ufficiale sanitario”. Al sindaco poi venivano mosse le accuse riguardo il “ribasso del canone daziario del Comune”, il quale in precedenza era di 50.000 Lire, dopo la riduzione della guarnigione “era di Lire 42.000”, ed in quel momento invece era stato ridotto a “Lire 32.000”. Un’inchiesta svolta nel 1897 dall’allora segretario, poi regio commissario comunale, Luigi Asprea, però, esordiva dicendo che in realtà il sindaco Antonio Pepe voleva pagare per il suo pastificio “solo Lire 150 all’anno” ottenendo tra l’altro “dai suoi amici” regolare deliberazione, mentre, era “generalmente riconosciuto” che il Pepe avrebbe dovuto pagare “Lire 4000 all’anno”. Questa situazione rendeva in qualche modo nota l’influenza che il Pepe aveva nei confronti dell’Amministrazione, facendo ribassare il canone daziario, poiché gli appaltatori possibili “calcolavano di poter riscuotere dal Pepe quello che egli avrebbe dovuto pagare”. La “facile ricchezza” accumulata dal Pepe, si attribuiva principalmente dal popolo “ad uno spaccio di biglietti falsi” che lo stesso Pepe avrebbe tenuto “vari anni addietro” e che “la lega all’onorevole Salvatore Morelli lo salvò dalla responsabilità”. Si diceva inoltre che il tesoriere comunale, insieme col Pepe, “è(ra) capo del partito imperante di Casagiove”. L’inchiesta svolta dal commisario Asprea nel 1897, pose alla luce del sole anche il fatto che il tesoriere comunale teneva presso di se “un fondo di cassa di Lire 26.000”, invece di conservare tale somma di denaro “in qualche banca”, accreditando in questo modo la voce nel paese “che egli si serviva di questo denaro per le varie sue speculazioni”. Sotto un altro nome, poi, “quello del Conforti”, il tesoriere teneva “la manutenzione delle strade comunali”. Ancora, il tesoriere era poi genero dell’assessore Perrotta, ed era fratello del consigliere Castiello “il quale è(ra) stato assessore ordinario fino a poco tempo addietro” e cioè fino a quando la Prefettura “non gl’impose di dimettersi dietro accuse fatte dalla stampa”. Il consigliere comunale Castiello, fratello del tesoriere, veniva descritto come un uomo che aveva sciupata “l’intera sua proprietà” e in più aveva “la fedina penale macchiata” perché condannato come “sequetratario infedele”. La Commissione Provinciale lo aveva per questo radiato dalle liste elettorali, ma venne poi reintegrato dalla Corte di Appello “la quale manomise così un tassativo articolo della legge” e non si ricorse tuttavia in Cassazione “per il grande dispendio al quale si andava in contro”.

III. Il Segretario Comunale

Anche le considerazioni verso colui il quale ricopriva la importante carica di Segretario Comunale apparivano ad una prima impressione negative: “Il Segretario comunale è(ra) uomo disordinato nell’ufficio e nella vita privata”. La sua ignoranza veniva definita “fenomenale” ed era pure noto come in Prefettura, il segretario casagiovese fosse riconosciuto “anche come imbroglione”, e a tal proposito infatti, la stessa Prefettura invitò il Consiglio Comunale di Casagiove “a non rinominare per i sei anni lo Scialla”, ma, a quanto pare, “il Consiglio se ne infischiò altamente”. Molti si domandavano quindi quale fiducia poteva “ispirare” una Amministrazione che aveva un sindaco “analfabeta” ed un segretario “ignorante e disonesto”. Un Consigliere comunale e il regio commissario Luigi Asprea poi, dicevano senza alcuna esitazione “in quale disordine, in quale abbandono” si trovavano gli uffici del Comune, a causa dell’inettitudine del Sindaco così come del Segretario comunale.

IV. Il servizio annonario

Questo servizio economico comunale “lascia(va) molto a desiderare” e la ragione di tale stato di cose, era da attribuire al fatto che l’assessore preposto a questa funzione, “è(ra) stato sempre un pubblico esercente”, ed infatti tale carica amministrativa “si è(ra) aggirata” intorno al Pepe “pastaio”, al Ianniello “panettiere”, ed al Melone “cantiniere”. Nel Consiglio Comunale vi erano infatti “due consiglieri panettieri, due negozianti di vino, un negoziante di pasta che è(ra) il Sindaco”, mentre la povera gente “piange(va) per la pessima qualità delle materie prime” utilizzate dai citati consiglieri commercianti nella produzione dei loro prodotti alimentari.

V. Il dazio consumo

La tassa relativa al dazio era stata screditata “dalle prepotenze” del pastaio, nonché sindaco Pepe, e da parte “di alcuni consiglieri vinai”, tanto che “l’ultima asta andò deserta”. Questa asta venne data allora “a trattativa privata nominalmente” al cugino del sindaco del tempo, il quale però in quel periodo risultava già morto, ed era stato “l’eletto di questa maggioranza”. Il paese però era convinto che parecchi assessori erano in realtà “cointeressati nell’impresa”, in quanto il “contratto di società” non era registrato. Il Pepe avrebbe dovuto pagare almeno 4000 Lire all’anno, invece nei registri contabili appariva “abbonato per Lire 400”. Vi era poi un segno alquanto evidente per quanto riguardava le “magagne economiche”: l’appaltatore “fu rimesso in possesso prima di versare la cauzione”, riscuotendo una “resta” di 11000 Lire e dopo due mesi di gestione “versò la cauzione di Lire 6000”, la quale però appariva “semplicemente ridicola” di fronte alla grande responsabilità che aveva l’appaltatore. Questi, infatti, avrebbe dovuto riversare “a fine di gestione” una resta approssimativa proprio di 11000 Lire, “oltre tutte le reste dell’appalto”. Capitava poi che in determinate occasioni l’appaltatore non aveva di che pagare, e quindi questo faceva suppore che in realtà l’appaltatore aveva versata la cauzione “con lo stesso denaro del comune”. Lo stesso appaltatore, di cui però non viene rivelata l’identità, protetto dall’Amministrazione comunale “nella riscossione di tariffe inesistenti o raddoppiate”, aveva spinto a produrre “numerosi quanti inutili ricorsi” inviati alla Prefettura di Caserta “per porre argine ad una vera spoliazione dei contributi”.

 

VI. Il fondo cassa comunale

Nel 1897, quando “dietro le violenze più spaggiarione” la maggioranza andò al potere, nella cassa comunale erano custodite, “per progetti da eseguirsi” 26.000 Lire. Tale somma di denaro però, nel giro di un anno fu “completamente distrutta” e ciò non bastò a deliberare “nuove ed odiose imposte”, tanto da impoverire le già “tristi condizioni economiche della popolazione”. Vi era poi una imposta in particolare, quella sul fieno, che rappresentava  “una larga speculazione di quei contadini”, e che venne “minacciata una vera rivolta”, la quale però venne repressa in tempo dai signori del paese, i quali vennero etichettati come i “veri militi dell’ordine”.

VII. Le liti dell’Amministrazione contro alcuni cittadini

Coloro che avevano effettivamente “mani in pasta” nel Comune di Casagiove erano essenzialmente il sindaco Antonio Pepe e l’Assessore Pasquale Silvagni, i quali “furono in altri tempi, fratelli nel potere facendo il Silvagni da Sindaco ed il Pepe da Assessore”. Nel tempo in cui il sindaco era Pasquale Silvagni, il Comune di Casagiove mise in scena “una lite inopportuna” contro il maestro Fusiello, al quale però dovettero dare, “per condanne subite” un risarcimento pari a  5000 Lire. Non solo, la stessa Amministrazione comunale intentò pure “due liti” contro due maestre, alle quali “per dannazione” dovevano ancora elargire 550 Lire “per ciascuno”. Gli stessi Silvagni e Pepe, avevano nel periodo in cui venne redatta la presente Relazione, esposto il Comune “ad una lite sulla lite”, questa volta contro il vice segretario comunale Francesco Casertano, per la quale però una sentenza emessa dalla Giunta Provinciale Amministrativa, condannava il Comune “ad un pagamento di altre Lire duemila”. Quest’ultimo episodio, come pure i due precedenti produssero “generale indignazione”, soprattutto in considerazione del fatto che furono gli Amministratori comunali a generarli.

VIII. La Congrega di Carità, opera pia comunale

L’Opera Pia denominata Congrega di Carità, amministrata dalla “macchina” comunale, si trovava in quel periodo “in uno stato deplorevolissimo”. Questa infatti, risultava “priva di archivio, conti, documenti di nessun genere”. Di essa era stato presidente per molti anni, fino cioè alla sua nomina a sindaco, “l’eterno cavalier Pepe”, mentre era segretario da venti anni l’allora segretario comunale di Casagiove. Quindi era possibile in questo modo poter trarre la conclusione che “gli stessi responsabili del Comune” erano “responsabili delle condizioni della Congrega”. L’Ente filantropico comunale aveva “un piccolo bilancio”, ma purtroppo “la povera gente non vede(va) un quattrino”. Tutto era “assorbito” dalla spese di segreteria, dal compenso elargito al segretario comunale, dall’affitto di casa, mentre alcune povere monache dovevano vivere “con soli soldi per una al giorno”. Anche la Congrega di Carità poi aveva mossa una causa “molto dannosa per essa” e che però perse. Quest’ Opera Pia possedeva un fondo “in quel di Sparanise”, il cui reddito diminuiva tutte le volte che si “rinnova(va) l’affitto”. Andava evidenziato inoltre che il cassiere della Congrega non teneva “i conti in regola, anzi nessuna spesa è(ra) giustificata”.

IX. Le liste elettorali

“Privi dell’intervento dell’opposizione”, il partito di maggioranza di Casagiove aveva potuto “confezionare” per il passato le liste elettorali “come meglio gli accomodava” e gli elettori erano per lo più “una quantità di analfabeti; di nulla tenenti”. Tra gli elettori rientravano ovviamente il sindaco “pur essendo analfabeta” ed il consigliere Giuseppe Castiello “pur essendo condannato per abuso di fiducia”.

X. Gli uffici comunali

Gli uffici pubblici comunali funzionavano all’epoca “malissimo” e tutti si lamentavano “di non poter facilmente ottenere” documenti archiviati o quanto meno “altri documenti necessari”.

XI. Lo spirito pubblico casagiovese

“Indignatissimo” era lo spirito pubblico verso quella Amministrazione comunale, e i cittadini avevano però “piena fede nella speranza” di aver avuto presto al potere “i Signori del paese”.

XII. La parte politica

La relazione in questione, si conclude trattando della politica a Casagiove. L’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Pepe si aggrappava ancora al potere, nonostante i diversi deficit, grazie alla “protezione incondizionata” del deputato Salvatore Morelli, il quale pubblicamente dichiarava che: “il suo partito di Casagiove gli dà(va) da fare per sostenerlo quanto non gli ha(veva) mai dato da fare la sua deputazione al Parlamento”. Questo voleva dire che, anche quando il Morelli aveva la Prefettura “ai suoi ordini”, e ciò durò cinque anni, aveva dovuto “stentare per fare dare ragione ai suoi affiliati”. Quindi, per dirla tutta, “la sola prepotenza del partito Rosariano poteva tenere al potere si lungamente questi Signori”.

 

Fonti archivistiche e bibliografiche

  • Archivio di Stato di Caserta, Prefettura Gabinetto (II inventario), busta 262 – fascicolo 833.
  • Olindo Isernia, Nuovi saggi di storia casertana (Ottocento – Novecento), Caserta 2006.
  • Olindo Isernia, Politica e amministrazione a Caserta 1891-1920, Caserta 2014.

 

        (Ritratto fotografico del sindaco cavalier Antonio Pepe)                      

 

 

 

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