“Tutta colpa di Ugo”, lo spettacolo vincitore del bando “Verso Sud 2022” in scena al Teatro Civico 14

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Sabato 20 (ore 20.00) e domenica 21 maggio (ore 18.00) in scena al Teatro Civico 14 (all’interno di Spazio X – via F. Petrarca 25 P.co dei Pini, Caserta)  Tutta colpa di Ugo, debutto nazionale dello spettacolo di Elvira Scorza che ha vinto la prima edizione del bando “Verso Sud”, dedicato alle compagnie del Meridione e promosso da TC14 insieme a collettivo Nuovo Teatro Sanità, Solot Compagnia Stabile di Benevento, Teatro del Sangro e Impresa di Produzione di Teatro d’innovazione e sperimentazione Scena Nuda.

I biglietti sono acquistabili al botteghino del teatro e sul sito www.teatrocivico14.it al costo di 12 euro, 10 per il ridotto under30/over65; per info e prenotazioni [email protected] oppure +39 0823441399.

Lo spettacolo, ultimo appuntamento della quattordicesima stagione del TC14, vede in scena Giuseppe Brunetti, Loris De Luna e Mariasilvia Greco, in una black comedy che racconta la storia di Iole e Carlo, due fratelli cresciuti nell’ombra dell’abuso taciuto, improvvisamente visitati da un fratello sconosciuto, Ugo, giovane sacerdote ignaro di tutto, pronto a ritrovare la sua famiglia d’origine per proclamare un perdono inaccettabile. Il lavoro riflette sulle colpe dei padri che continuano a camminare nelle vite dei figli, in maniera così determinata da diventare fatto, tradizione, addirittura costume sociale, e su quanto sia difficile, e forse giustamente impossibile, essere giusti in un mondo sbagliato.

Scrive l’autrice e regista Elvira Scorza, nelle sue note: « Ho sempre creduto che, se non fosse stato per la deriva tragicomica che nel nostro Paese ha avuto la televisione dell’orrore, avremo un numero considerevole di celle vuote. Perché ci sarebbero meno colpevoli, rimarrebbero tutti vittime. E invece, i salotti pullulano di pentiti. Di gente che, nonostante tutto, ha reagito. A suo modo, ma ha reagito all’inspiegabile ferocia che l’ha vista vittima del male. Gente accusata di infanticidi, stupri, delinquenze  più torbide piange lacrime false nell’ora della siesta.

Ma cosa sono io, una moralizzatrice delle cause perse? No. Solamente, sono nata nel 1992. La spettacolarizzazione del dolore mi è stata propinata, mio malgrado, a pranzo cena e colazione ogni sacrosantissima volta che una tragedia rovinava la vita di paese. Ricordo le facce, le parole, gli occhi di chi ha compiuto atti nefandi rimbombare su tutte le superfici. È la mia percezione del reale a essere intossicata da “Un giorno in pretura” e dall’incapacità dei colpevoli di argomentare la propria estraneità ai fatti.

Di contro, trovo cruentemente ironico che, in realtà, alla base dell’esistenza del tragico ci sia il preservare al pubblico l’atto omicida. Trovo sublime che Edipo si accechi fuori dalla vista dei suoi haters e che Clitemnestra non vaghi per la scena a urlare in faccia al suo pubblico la colpevolezza. Trovo eroico che il male sia fatto con piena coscienza, come inevitabile compimento del destino: nessuno in fondo è il solo responsabile del male, c’è un disegno divino che lo permette. Ha un senso, il dolore degli altri.

E quindi, questo spettacolo. Che prima di tutto è un testo che riflette su dati, a mio avviso, nascosti sotto il tappeto della vergogna per troppo tempo: la violenza domestica in Italia è una piaga taciuta da secoli di cultura cattolica e patriarcale. Padri violenti, madri succubi, figli nutriti a pane e disagio. Ma non solo; l’incidenza di molestie e abusi sessuali è raccapricciante e l’amara conclusione a cui si arriva è che spesso le violenze avvengono tra le mura domestiche, e non si denunciano.

Ecco che si perde il tragico, ecco che la tivvù del dolore si prende spazio: non ha senso, questo dolore imposto. Non ha senso perché il valore che l’omertà protegge non è saputo, non è capito, non è scelto: non ci sono eroi né eroine, ma solo complici di delitti che non possono che ingrossare, portare da male a male, rivelare dietro ad atti delittuosi ferite mai sanate e nascoste nelle pieghe di una vita pseudo-normale.  È tutto un raptus di casalinghe disperate.

E allora indaghiamo le provincie, che sono le vere protagoniste della furia omicida degli ultimi anni. Diamo vita a umanità semplicemente distrutte da un dolore insensato, scriviamo di due fratelli che si ritrovano ingabbiati in una fitta rete di bugie che li protegge dalla verità indicibile: il dolore non è utile se non a covare altro dolore. E allora, anche il perdono diventa un tabù per chi se la racconta come inviolabile, la propria difesa del silenzio.

Così sono nati Iole, Carlo e Ugo, tre pedine del destino che avrebbero potuto continuare a passare il sabato sera a guardare in tivvù sconosciuti pronti a spiattellare l’indecoroso in prima serata ignari di essere, loro stessi, protagonisti di una delle tragedie meno epiche ma più scontate di sempre: figli che non hanno fatto i conti con il dolore lasciato dai padri. Incapaci di vendetta, incapaci di perdono, pronti solo a drammi inaspettati che fanno di loro raptus da spiattellare in prima serata».

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