La rivoluzione industriale a Casagiove tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento

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Un’infarinatura di tutto, e di nulla un’esatta conoscenza.

Charles Dickens

 

I. La situazione industriale a Casagiove negli ultimi anni dell’Ottocento

Il Comune di Casagiove, benché ubicato tra  due centri certamente maggiori, per importanza storica, Caserta e Santa Maria Capua Vetere, poteva vantare, verso la fine del XIX secolo, la non poca industrializzazione, attraverso diverse produzioni. Certamente, a primeggiare era la presenza di cave, ben quattro, la cui natura dei prodotti ottenuti, proveniva dal tufo e dalla pietra calcarea. La produzione media annua ammontava per il tufo a 5000 tonnellate, mentre, per la pietra calcarea a 14500 tonnellate. Presso queste cave, lavoravano un totale di 33 operai, di cui 10 adulti, 15 “sotto i 14 anni” per quanto riguardava gli uomini, mentre, per quanto riguardava le donne, 2 adulte e 6 “sotto i 14 anni”. I giorni di lavoro medio annui, nelle cave, ammontavano a 180. Altra presenza importante, per l’economia cittadina, era anche quella delle fornaci che, in genere, producevano: calce, laterizi, stoviglie, terraglie, vetrerie. A Casagiove, infatti, erano presenti tre fornaci, in cui lavoravano un totale di 15 operai, lavoro che, ovviamente, si svolgeva “esclusivamente a mano”, i cui prodotti servivano, “quasi esclusivamente ai bisogni locali”. L’accensione di queste fornaci, avveniva, generalmente, tramite “legna, paglia, steli di lupini e di fave del luogo stesso”, mentre, purtroppo, “il lavoro si limita(va) a pochi mesi dell’anno”. Va precisato, poi, che dalle fornaci casagiovesi si estraevano per lo più, a “fuoco intermedio”, “mattoni, quadrelli e tegole” per una quantità annua di 105000 quintali. Una produzione poco nota, risulta essere quella legata all’estrazione dell’olio d’oliva col solfuro di carbonio. Quest’ultima produzione, veniva esercitata nel Comune di Casagiove dalla Società per l’industria dei saponi ed oli di Firenze, la cui fabbrica “è(ra) animata da un motore a vapore della forza di 30 cavalli ed occupa(va) 20 operai adulti”. Altra produzione che a Casagiove andava per la maggiore, era quella legata alle “paste da minestra”. Quattro erano, infatti, i molini a  vapore che, approssimativamente, producevano annualmente 220000 chilogrammi di pasta, tra le quantità più elevate nella provincia di Caserta. Anche la tessitura della seta, non mancava. L’unico opificio serico, era quello di proprietà del signor Giuseppe Mingione, dove, vi erano occupati soltanto 9 operai, i quali lavoravano, con 7 telai, “traendo i filati di seta dal vicino comune di San Leucio”. A Casagiove, avveniva anche la “fabbricazione dei cordami”, concernente nella produzione di “corde, cordami e cordoncini”, che avveniva “colla sola canapa che si produce(va) per lo più sul luogo stesso della lavorazione o nei comuni limitrofi”. Un solo opificio era presente a Casagiove, con un solo congegno torcitore, gestito da soli due operai, probabilmente padre e figlio. Cosa certamente sconosciuta è il fatto che, sempre a Casagiove, si producevano cappelli di feltro e di lana. Generalmente, però, la lana che si impiegava per la manifattura, “è(ra) esclusivamente di produzione locale”, mentre, il feltro “lo si ritira(va) da Napoli e da Milano”. I cappelli prodotti, poi, si smerciavano principalmente “sullo stesso mercato dei luoghi di produzione”. Una sola fabbrica, con un solo marchingegno “per la follatura”, era presente a Casagiove, e dove lavoravano soltanto 2 operai. Un ulteriore manifattura presente in Casagiove, era quella “tessile casalinga”, con la presenza di ben 9 telai per la lavorazione, principalmente, di lino e canapa. In particolare, per la lavorazione dei tessuti in lino e canapa, “si adopera(va) generalmente la materia prima ottenuta sul luogo”, e i tessuti servivano quasi esclusivamente “per uso domestico”, mentre, pochissimi andavano “in commercio”. L’attività legata alla costruzione delle ruote per carri e carrozze, più nota col mestiere del “mannese”, era rappresentata in realtà, da ben 4 “fabbriche di veicoli” (certamente a conduzione familiare), con un totale di 12 operai, in cui si costruivano “carri, bighe e veicoli in genere per strade rotabili”.

II. Una gloria casagiovese: il pastificio “Pepe”

Il pubblicista napoletano Luigi Gravina, dedicava nel mese di dicembre 1906, una sorta di “monografia” relativa all’Esposizione Internazionale di Montecatini che si svolse tra i mesi di luglio, agosto e settembre 1906. Nella monografia, ampio spazio il Gravina, dedicava al Grande Molino della famiglia Pepe di Casagiove. Il “grandioso” stabilimento della ditta Antonio Pepe e figlio, venne fondato nel 1889 (in realtà si trattava di un ampliamento dello stabilimento, sorto già “in piccole proporzioni” nel 1865 a Casagiove centro) dal cavalier Antonio Pepe, padre del più noto Michele Pepe, il quale, fin dalla giovane età si dedicò “con grande amore” allo svolgimento dell’industria paterna, “apportando tutto l’efficace e diligente contributo della sua cooperazione ed attività”. Nel 1900 poi, a seguito della morte del “capostipite industriale” Antonio Pepe, il figlio Michele assunse la direzione completa “del Mulino e del Pastificio”, andando poi “sempre più accreditando, giorno per giorno, grazie alla sua inesauribile attività”. Michele Pepe, nel suo lavoro, era coadiuvato dal figlio Antonio, in quel periodo “appena ventenne”, il quale recava il nome del nonno, “che tanto rimpianto ed eredità di affetti lasciò nella sua diletta provincia di Caserta”, come pure “in tutto il movimento commerciale d’Italia, ove aveva larghi rapporti d’affari”. Lo stabilimento di pasta dei Pepe, rappresentava certamente, in quel periodo, “una delle più fulgide glorie del lavoro italiano progrediente”, la struttura della fabbrica era, invece, formata “da un vasto, edificio rettangolare che misura(va) la superficie di 6000 m. q”.. Esso sorgeva “maestoso e imponente” sulla via che da Caserta conduce a Santa Maria Capua Vetere (lo stabilimento si trovava, a quanto pare, dove oggi è ubicato il palazzo che ospita il negozio di strumenti musicali BARONE, insieme con altri negozi, quindi la via Appia). La celebrità dell’impianto industriale dei Pepe, si può dire che, raggiunse il suo apice quando, nei primi anni del Novecento, ebbe “l’alto e ambito onore” di una visita da parte di Sua Maestà re Vittorio Emanuele III di Savoia, il quale, conoscendo per fama lo stabilimento, “volle degnarsi di visitarlo in tutte le sue parti”. Il sovrano italiano, raccontava il proprietario del pastificio Michele Pepe, nel corso della visita avvenuta il 14 novembre 1905: “visitò con sommo compiacimento tutte le vastissime sale adibite alle varie e speciali lavorazioni dei grani e delle paste alimentari”, dopo di che, “osservò con grande attenzione e vivo interesse il grande e complesso macchinario moderno, che risponde(va) ai più alti e riputati criteri della tecnica e dell’industria”. Nell’ambito del pastificio, lavoravano “circa 200 operai”, guidati dal Direttore tecnico Antonio Pandice, impegnati “per la molitura dei grani e la fabbricazione più accurata delle paste, la cui produzione raggiunge(va) ben 200 quintali al giorno”. Animava il lavoro all’interno dello stabilimento, “una possente motrice della forza di oltre 150 HP, fornita dalla casa Howden e Carbutti di Napoli”. Va evidenziato, senza dubbio, che il pastificio Pepe, ebbe modo di farsi conoscere anche altrove, grazie soprattutto alla partecipazione da parte dei proprietari, ad importanti esposizioni italiane e non, come ad esempio: Palermo, Montecatini, Milano e addirittura Bruxelles in Belgio, in cui, tra l’altro, “vennero conferite con plauso medaglie d’argento e d’oro, le croci al merito industriale e le onorificenze superiori di Gran Premio”. Altre onorificenze che caratterizzarono Michele Pepe, coma riportava un breve articolo il giornale “Terra di Lavoro”, perché “segnalatosi per la e sue alte virtù e per le sue nobile azioni”, si ebbero nel marzo 1908 quando “fu decorato della croce di cavaliere nell’Ordine della Corona d’Italia”, e quando nell’aprile 1912 “fu nominato cavaliere nell’Ordine al Merito del Lavoro”. Nel 1922, ancora, tramite Reale Decreto, su proposta del conte Fulco Tosti di Valminuta, ex sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, Michele Pepe fu “insignito della commenda nell’Ordine della Corona d’Italia”. 

Michele Pepe, proprietario del Pastificio

III. Attività produttive a Casagiove Negli anni ’30 del Novecento

La prima edizione dell’Annuario dell’Agricoltura italiana, edito a Roma nel 1930, in pieno “Ventennio fascista”, ci ha data la possibilità di conoscere quelle attività produttive che, in tutta la Penisola italiana, diedero lustro alla nazione, soprattutto a livello alimentare, attraverso la lavorazione di numerose materie prime frutto della Terra. Per quanto riguarda Casagiove, in quell’epoca figuravano per lo più la produzione di olio, pasta e vino. Il frantoio era gestito da Giuseppe Tescione, due Molini erano invece gestiti da Michelangelo Pepe e da Giuseppe Tescione, al quanto fiorente appariva poi, la produzione di vino, gestita da più persone: Crescenzio Castiello, Pasquale Menditto, Vincenzo Palladino, Luigi Forquet, Paolo Menditto e i fratelli Tescione. Un fatto davvero curioso e allo stesso tempo commovente, riguarda l’oleificio di Casagiove, tramandato dal sacerdote don Angelo Nubifero, nativo di Recale e parroco della parrocchia di Santa Maria delle Grazie alla Vaccheria (Caserta). Il parroco Nubifero, nel trattare i miracoli ricevuti dai numerosi devoti, per intercessione di Sant’Antimo prete e martire, patrono della cittadina di Recale, racconta che nel 1948, in tempi oggettivamente difficili, il signor Gaetano Cervo, di condizione “disoccupato”, cercava un impiego sicuro poiché “la sua famiglia versava in gravi condizioni economiche”. Il signor Cervo, fervente devoto di sant’Antimo, invocava spesso la sua intercessione affinché lo avesse aiutato a trovare lavoro per poter migliorare la sua condizione sociale. Il signor Gaetano, allora, si rivolse varie volte al direttore dell’Oleificio di Casagiove, ricevendo però riscontro negativo. Un giorno, però, ripresentatosi a Casagiove, Gaetano Cervo si sentì dire dal direttore dell’Oleificio: “E’ venuto finanche un Sacerdote a raccomandarti, puoi venire a lavorare”. Meravigliato il signor Gaetano, sapeva in cuor suo che, quel sacerdote accorso a “raccomandarlo” era  in realtà sant’Antimo.

Fonti

  • Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Statistica Industriale. Notizie sulle condizioni industriali della Provincia di Caserta, Roma 1889.
  • Biblioteca del Museo Provinciale Campano di Capua: Luigi Gravina (compilatore), Rivista Ufficiale di Premiazione, relativa all’Esposizione (Luglio – Agosto – Settembre 1906) – Volume I. Fascicolo 1.Napoli, Dicembre 1906.
  • Società di Storia Patria di Terra di Lavoro – Emeroteca, Terra di Lavoro del 25 novembre 1922. 
  • Annuario dell’Agricoltura Italiana, Anno I – Edizione I, Roma 1930.
  • Angelo Nubifero, S. Antimo Prete e Martire protettore di Recale, S. Nicola la Strada 1985.

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